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Parità nella vita professionale

Casi pratici

(art. 3 LPar, art. 9 LPar)

Verena viene licenziata in modo del tutto regolare rispettando il termine di disdetta. Quando si informa sulle ragioni del licenziamento, il superiore dichiara che, vista la situazione sul mercato del lavoro, non vuole occupare donne coniugate che percepiscono un doppio reddito.

Giordano e Barbara, genitori di tre bambini, lavorano entrambi al 70 %, per potersi dividere i compiti domestici. L'azienda dove lavora Giordano, annuncia la chiusura di un reparto e il licenziamento di una parte di collaboratori e collaboratrici, fra i quali anche Giordano. Egli constata che i licenziamenti toccano solamente i posti a tempo parziale per lo più occupati da donne.

Agli uomini occupati a tempo pieno vengono proposti altri lavori in sostituzione, ma nessuna donna e neppure Giordano, hanno questa fortuna. Questi due licenziamenti sono discriminatori.

Nel caso di Monica, le donne sono direttamente toccate dalla discriminazione, mentre nei confronti di Giordano, la discriminazione è indiretta poiché non è riferita direttamente al genere sessuale, ma a un gruppo -le persone che lavorano a tempo parziale- che è composto in maggioranza da donne.

Monica e Giordano per far valere i loro diritti devono presentare opposizione alla disdetta, per iscritto, entro la scadenza del termine di disdetta, e in seguito avviare una procedura giudiziaria. Senza l'accordo del datore di lavoro non potranno essere reintegrati nel loro posto di lavoro, ma otterranno un'indennità (max 6 salari mensili).

(art. 3 LPar)

Monica lavora già da molto tempo per la stessa ditta, frequenta regolarmente i corsi di perfezionamento e consegue regolarmente ottimi risultati nei colloqui di qualificazione. Ciononostante, un collega più giovane, con la stessa formazione, ma molto meno esperienza, viene promosso a responsabile di filiale, carica, questa, per la quale anche lei aveva manifestato interesse.

Monica si informa sui motivi di questa scelta, le viene detto che il giovane è padre di famiglia. La mancata promozione di Monica è discriminatoria in quanto fondata sulla situazione familiare dei due protagonisti. Questo argomento non costituisce un motivo oggettivo che potrebbe giustificare la scelta della ditta.

Monica può chiedere di far cessare la discriminazione esigendo di essere promossa non appena se ne presenti l'occasione. Monica può inoltre esigere l'aumento del salario legato alla promozione retroattivamente a partire dalla data del rifiuto della promozione.

(art. 3 LPar)

Angelica lavora al 70 % in un'azienda di informatica che offre al personale seminari di formazione. Le ultime richieste formulate in tal senso da Angelica sono tuttavia state respinte, mentre la maggior parte dei colleghi hanno potuto frequentare gli stessi corsi a spese della ditta.

La Direzione ha spiegato ad Angelica che questo tipo di formazione viene accordato solamente alle persone impiegate a tempo pieno. Nella ditta la maggioranza delle persone attive a tempo parziale sono donne. In questo caso il rifiuto di finanziare la formazione costituisce una discriminazione indiretta legata al genere, poiché il solo criterio che la giustifica è il tasso di attività.

Siccome nella stragrande maggioranza dei casi sono le donne che lavorano a tempo parziale, la conseguenza è che esse sono svantaggiate senza motivi oggettivi legati al lavoro. Angelica può quindi chiedere la cessazione della discriminazione e che le venga accordata la possibilità di formarsi alle stesse condizioni dei colleghi uomini. Se questa possibilità le viene negata potrà rivolgersi al giudice.

(art. 3 LPar)

Simona svolge lo stesso lavoro dei suoi quattro colleghi maschi. Viene a sapere che tre di loro guadagnano molto più di lei, mentre il quarto non guadagna altrettanto, ma comunque più di lei. Due dei tre colleghi hanno una formazione professionale più completa della sua, e sono attivi da molto tempo nella ditta. Il terzo ha una formazione equivalente alla sua, ma lavora da più anni e ha acquisito una certa routine.

Simona riesce quindi a giustificare la differenza di salario rispetto a questi tre colleghi. Il quarto collega, per contro, ha la sua stessa formazione e non vanta maggiore esperienza perché lavora solo da un anno più di lei nella ditta e, ciononostante, guadagna parecchio di più. Per Simona questa disparità salariale è incomprensibile. Se la differenza salariale non sembra essere giustificata da ragioni oggettive (età, formazione, esperienza, ecc.) è probabile che vi sia una discriminazione di genere.

Per confrontare la situazione di Simona con quella dei suoi colleghi è necessario che il lavoro sia di uguale valore e non totalmente equivalente: sono i compiti effettivi, il livello di responsabilità ecc. che devono essere confrontati.Con un semplice confronto con il suo salario e quello dei colleghi, Simona rende verosimile l'esistenza di una discriminazione.

In questo caso sarà il datore di lavoro a dover provare che la differenza di salario fra Simona e i suoi colleghi si fonda su motivi oggettivi, come una migliore formazione, un'esperienza più specialistica, ecc.Prima di avviare una procedura giudiziaria per la rivalutazione del salario è necessario che la vittima raccolga il maggior numero di informazioni sulla politica salariale dell'azienda e sui salari dei colleghi meglio retribuiti. Sarà così più facile provare la verosimiglianza della discriminazione.

Se la vittima non riesce a ottenere i documenti comprovanti la discriminazione salariale, sarà il giudice a ordinarne la produzione. Se la discriminazione salariale è provata, la vittima otterrà la differenza fra il salario dovuto e quello percepito, anche per il periodo precedente la domanda (max 5 anni).

(art. 3 LPar)

Jessica lavora da diversi anni a tempo pieno in banca nell'ambito della gestione patrimoniale. E' incinta e domanda di poter riprendere l'attività, dopo il congedo maternità, all'80 % e di beneficiare di un giorno libero alla settimana.

La direzione le risponde negativamente sostenendo l'impossibilità di organizzare il lavoro all'interno dell'equipe se non si lavora al 100 %, e, in particolare, che la presenza di ogni membro è obbligatoria in occasione delle riunioni di gruppo che possono aver luogo in qualsivoglia giorno della settimana. Inoltre la direzione osserva che, per la clientela, la presenza quotidiana è indispensabile.

Questo rifiuto di principio di modificare la percentuale di attività, per motivi di organizzazione del lavoro all'interno del gruppo, può essere considerato discriminatorio.

La LPar vieta di discriminare collaboratrici e collaboratori nell'assetto delle condizioni di lavoro, che comprende in particolare il tasso di occupazione, gli orari, ecc. Rifiutare, per principio, una riduzione del tasso di attività può costituire una discriminazione di genere.

In effetti evitare in assoluto il tempo parziale per certe funzioni significa svantaggiare le donne, in quanto sono soprattutto loro a lavorare a tasso ridotto, spesso a causa della maternità (il 54 % delle lavoratrici in Svizzera lavorano a tempo parziale, questa percentuale sale al 72 % in presenza di bambini piccoli).

Il fatto che l'occupazione al 100 % sia utile all'esecuzione del lavoro e ne semplifichi l'organizzazione non è sufficiente a giustificare il rifiuto della diminuzione del tasso di attività del 20 %.

(art. 3 LPar)

Al termine del colloquio di assunzione il titolare della ditta comunica a Eveline, architetta, che essendo la sua la migliore candidatura, le farà avere al più presto il contratto di lavoro.

Il tempo passa senza che a Eveline giunga la minima notizia. Poi arriva una lettera di rifiuto con la quale si precisa che si è optato per un altro candidato. Eveline telefona al titolare il quale, imbarazzato, le spiega che l'équipe di collaboratori, tutti uomini, non accettava che una donna facesse parte del gruppo perché ciò avrebbe causato dei problemi. Non assumere una persona perché donna contravviene al divieto di discriminazione. Eveline può esigere che il datore di lavoro motivi per iscritto la sua decisione. Per far valere il diritto a un'indennità ai sensi dell'art. 5 LPar, Eveline dovrà inoltrare un'azione giudiziaria entro tre mesi a contare dalla data in cui le è stato comunicato il rifiuto d'assunzione. Essa può pretendere unicamente un'indennità non superiore a 3 mensilità di salario. In ogni caso non può esigere di essere assunta.

(art. 3 LPar)

Daniela e due colleghi sono incaricati di eseguire delle ordinazioni speciali. Daniela si accorge che alcune ordinazioni invece di essere depositate nella casella prevista a questo scopo vengono trasmesse direttamente ai suoi colleghi.

Queste ordinazioni non sono considerate come lavori di routine, ma come compiti più complessi e delicati. Daniela chiede che vengano affidati anche a lei. La sua richiesta viene respinta con la motivazione che non è necessario che siano tutti in grado di trattare queste ordinazioni speciali. In quell'occasione viene a sapere che a uno dei colleghi è stato proposto un posto migliore in seno alla ditta perché si è dimostrato particolarmente creativo nell'esecuzione delle comande speciali. In questo caso siamo in presenza di una discriminazione fra i sessi.

La legge vieta l'attribuzione di lavoro e compiti con modalità che svantaggiano un sesso per rapporto all'altro. Spesso la ripartizione dei compiti obbedisce a stereotipi o pregiudizi:" le donne sono meno resistenti, hanno minori competenze tecniche, sono più sensibili, ecc..".

In caso di discriminazione nell'attribuzione di compiti la vittima può esigere dal datore di lavoro la cessazione della discriminazione e l'attribuzione dei compiti che in precedenza le sono stati negati. In caso di rifiuto potrà rivolgersi al giudice ed esigere anche il salario corrispondente al nuovo compito.